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La lunga “settimana” santa di Gallipoli

Pubblicato il 10/Apr/2010 in Miscellanea, Salento magico

Gallipoli è città, città bella come già indica il suo nome greco plurimillenario.

È città per diritto antico, non borgo, non paese e sa esprimere nelle feste, nelle cerimonie e nei riti la complessità della sua storia.

La lunga “settimana” santa inizia già nel venerdì dell’Addolorata, quello che precede la Domenica delle Palme, con la commemorazione dei sette dolori di Maria, la grande madre che in sé assume e riassume ogni dolore.

Il giovedì santo poi, alle nove della sera, si spande, nell’aria già scura della notte più orientale d’Italia, lo squillo lento e straziante della tromba, il sordo sussulto del tamburo rullante e lo sgradevole e battente rumore della troccola che annunciano l’inizio dei pellegrinaggi delle tante confraternite ai sontuosi sepolcri allestiti in ogni chiesa.

Il rituale si protrarrà per tutta la notte e, ad ogni stazione, e per ogni confraternita, la tromba, il tamburo e la trozzula faranno vibrare nell’aria il loro lugubre lamento.

I confratelli vestiti di saio, cappuccio e mozzetta incedono processionalmente, distanziati, a passo lento e cadenzato, per le viuzze antiche che odorano di incenso, di cibo, di vento, di mare.

Il venerdì santo, al crepuscolo, inizia la processione dei misteri che si protrarrà fino all’alba.

Il troccolante della confraternita del SS. Crocifisso in saio e cappuccio rosso. mozzetta celeste, con il disarmonico battito della troccola da inizio alla sacra rappresentazione. Egli porta sul capo, in questa occasione, come i suoi confratelli, una corona di asparagio selvatico.

La processione si dipana per tutta la notte al suono di strazianti marce funebri, della tromba, del tamburo, della trozzula che annunciano il passaggio delle croci, dei confratelli, dei penitenti, dei devoti, delle statue raffiguranti la Passione di Cristo, l’Addolorata, il Cristo morto.

Le statue dei Misteri procedono di chiesa in chiesa (e sono infinite) portate a spalla da giovani e meno giovani per tutta la durata della notte.

Incappucciati, ma privi di mozzetta, tra le file delle confraternite incedono a piedi nudi i penitenti. Per chiedere perdono dei propri peccati o per adempiere un voto portano sulle spalle la croce o le “pisare”: due grosse pietre legate da una corda: una sul petto ed una sulla schiena od anche si percuotono con la disciplina, un’antica  frusta a lamine metalliche.

Quando la processione si conclude nella notte fonda ed inizia il sabato santo, è la processione della Desolata a iniziare il suo cammino alle tre del mattino.

Allora, solo la statua della Madonna Desolata e del Figlio deposto in un’urna dipinta di oro zecchino, riprendono il cammino nel buio della notte, squarciato solo da quattro lampioni e percorso dallo squillo lacerante della tromba e dall’assillante rullare del tamburo.

La luce del giorno sorprenderà ancora il Figlio adagiato nella sua urna d’oro seguito dalla settecentesca statua della Madonna Desolata.
In questi riti la lunga storia della Kalé polis magnogreca si ricondensa nel pathos delle sacre rappresentazioni, in questi riti di primavera di morte e di resurrezione: in ogni passo dei penitenti, dei confratelli, dei devoti. Il passato bizantino e la lunga appartenenza al patriarcato di Costantinopoli si svelano nella inesauribile e minuziosa serie di riti, nella sontuosità degli arredi, nei ricami ad intaglio, nei damaschi e nei broccati dalla ricchezza e veneziana e orientale e mercantile.

Grande, barocca e sapiente teatralità, struggente spagnolesco sentimento tragico della vita, prestigio sociale, pathos, fede e senso di appartenenza si mescolano in un tutto che rende magiche queste notti.

Valgono da sole un bel viaggio di primavera per intravedere la complessa anima del Grande Sud d’Europa